venerdì 29 aprile 2011
El Santo Nada - Tuco (Recensione)
As Blood Runs Black - Instinct (Recensione)
Label: Mediaskare
Voto: ◆◆◆◇◇
mercoledì 27 aprile 2011
The Casanovas - Hot Star (Recensione)
Undici traccie decise e arroganti, così debuttano i “Casanovas” affiancati da artisti come il “prezzemolo”: Enrico Gabrielli, e Andrea Appino, a quest'ultimo il compito di chiudere un album apparentemente scontato. Un primo ascolto e si sente che non c'è molto di nuovo (rispetto al genere) ma c'è molto da leggere tra le righe; un talento vocale quello di “Lady” da invidiare, in particolar modo dal vivo il duo trasmette una violenza coinvolgente, e riaffiorano vaghi déjà vu. Ottima e ballabile la quinta traccia “Hot Star” da cui viene il titolo dell'album, una delle poche tracce a lasciare l'ingresso alla batteria. “Rosso & Blu” una delle tre tracce in italiano, due se togliamo “Amore a Scampia” cantata e suonata dal proprietario dell'etichetta “Andrea Appino” uno che oltre a non aver bisogno di presentazioni offre un'ottima garanzia a questo vergine duo.”The Walk” ci da la conferma che il duo ha i mezzi...sporchi, ha le idee...luride, questo è sintomo di un buon garage/rock.
Un album che a primo ascolto può lasciare un po' attoniti, non brilla certo in originalità e bisogna assorbirlo prima di percepire tutte quelle particolarità, quelle buone idee che ci fanno ben sperare per il prossimo album. Per ora mi limito a dire che quello dei “Casanovas” è un garage/rock sporco e violento come l'umidità passata ci ha insegnato e tramandato; un ottimo debutto ma prima di sbilanciarmi preferisco pazientare con ansia il prossimo lavoro.
Label: Ice for everyone
Voto: ◆◆◇◇◇
lunedì 25 aprile 2011
Tetuan - Tela (Recensione)
giovedì 21 aprile 2011
Unk - Il Mondo non Finirà nel 2012 perchè Marty McFly e stato nel 2015 (Recensione)
martedì 19 aprile 2011
Jarman - The Saint (Recensione)
Miss Chain & The Broken Heels - On a bittersweet ride (Recensione)
Non vi resta che lasciarvi incatenare in questo viaggio e scommettere su questa band prima che sia troppo tardi.
Label: Screaming Apple Records
Voto: ◆◆◆◆◇
lunedì 18 aprile 2011
OFF! - The First Four Ep's (Recensione)
Label: Vice records
Voto: ◆◆◆◆◇
OvO - Cor Cordium (Recensione)
Il primo ascolto mi disgusta, il secondo mi lascia spiazzato, il terzo mi delude profondamente.
Quello che qui viene definito noise-rock, e in alcune interviste viene catalogato dai nostri OvO come il risultato finale di ascolti che vanno dall'hardcore-punk per terminare al metal, è più semplicemente una barca che fa acqua da tutte le parti. Pomposamente definito come una summa di vari generi, non racchiudibile in una sola categoria, il lavoro degli OvO appare troppo radicale ed estremo per riuscire a colpire un punk-addict, troppo scarno tecnicamente per essere preso in considerazione dai fantatici del metal, ma sopratutto veramente inconsistente dal punto di vista rumoristico per essere annesso tra le composizioni noise che contano veramente. Le composizioni sembrano infatti semplici esercizi di stile studiati a tavolino e non invece figlie di una sana passione. Il noise è una cosa, una pessima composizione basata sulla ricerca di voler 'essere alternativi per forza' è un altra. Mi sto rendendo conto infatti che sempre più spesso la ricerca dell'alternativo e del radicale, così come quell'odio spesso eccessivo verso la musica più melodica e magari sì anche più mainstream, porta alla luce e al 'successo' (inteso come visibilità, possibilità di esibirsi, interviste ecc ecc) gruppi che secondo me non lo meriterebbero. Gli OvO sono un progetto si radicale ed estremo, ma senza nessuna base dietro. Quello che viene fuori dall'ascolto del loro ultimo lavoro è una cacofonia fine a se stessa, figlia della noia, dell'inconcludenza, della mancanza di idee e lontana ad esempio dal modus-operandi dei Sonic Youth, che invece si approcciano al rumore, al noise, al lo-fi ne più ne meno che nello stesso modo, e con lo stesso rispetto, di un ragazzo che in Conservatorio si avvicina per la prima volta ad un pianoforte a coda.
Parliamoci chiaro: 'Metal Machine Music' è una cagata fatta da Lou Reed per vendicarsi della propria etichetta (e ora non venitemi a citare l'importanza che comunque il disco ha avuto, le varie citazioni, ecc ecc perchè le sanno anche i cani), che lo aveva costretto a pubblicare 'Sally can't dance' e dei fan, che andavano ai suoi concerti per ascoltare solo i pezzi più commerciali della sua produzione. Chi cerca di vederci qualcosa di più.. e perchè vuole vederci qualcosa di più. Non facciamo lo stesso errore con questo lavoro degli OvO.
Label: SuperaturalCat Records
Voto: ◆◇◇◇◇
domenica 17 aprile 2011
Fucksia - Photophobie (Recensione)
Hauschka - Salon des Amateurs (Recensione)
L'architetto in grado di creare questo labirinto della psiche si chiama Volker Bertelmann alias “Hauschka”, naturalmente per costruire una struttura così innovativa ci sono voluti degli ottimi assistenti: Joey Burns e John Convertino dei Calexico, e Samuli Kosminen batterista dei Múm. Il nome di questa trappola mentale si chiama “Salon Des Amateurs”.
Volker Bertelmann ha realizzato questo album smontando rismontando e montando il piano con parti assolutamente non convenzionali, per dirne una, le confezioni delle “Tic Tac”. Certamente non è il primo ad usare metodi del genere e sicuramente non sarà l'ultimo, ma sicuramente è il primo artista a creare un album in grado di generare attimi di euforia e ansia, misti a panico e alla voglia di correre fuori scavare una buca e sotterrare questo album manco fosse “Jumanji”! Dieci tracce per un album composto da alti e bassi, alti come “Subconscious” una melodia coinvolgente simile a “Le fabuleux destin d'Amélie Poulain” colonna sonora di Yann Tiersen, bassi come “Tanzbein”, piatto, senza il minimo colpo di scena. A stimolare i nostri neuroni in pausa pranzo c'è “TwoAM”, mentre per gli intrighi e i pedinamenti sonori notturni abbiamo “Ping”. La straordinaria tecnica dei magnifici quattro si può udire dalla prima all'ultima traccia, è sicuramente un lavoro da analizzare ma assolutamente da non sopravvalutare. Un'ottima originalità, degli ottimi esperimenti acustici realizzati da quattro colonne portanti della musica mondiale, ma come abbiamo già visto con “Bodysong” di Jonny Greenwood, l'originalità non sempre è sinonimo di buona musica e sicuramente “Salon Des Amateurs” ne è la prova. La tecnica usata da Jonny Greenwood in “Convergence” la si può trovare in quasi tutte le tracce di “Salon Des Amateurs” l'inizio base e via scorrendo l'aggiunta di particolari suoni fino a creare un miscuglio di originalità e sperimentazione, ma niente di più. Molti non la pensano come me, e forse tra qualche mese rivaluterò questo album, non voglio farmi influenzare dal passato e presente dei quattro protagonisti ed è per questo che reputo questo album un ottimo esperimento da conservare come ispirazione per un futuro album, meno astratto e più incisivo.
Label: FatCat Records
Voto: ◆◆◆◇◇
Vi proponiamo un video di un brano del precedente album:
Bancale - Frontiera (Recensione)
Bordi di strade abbandonate. Binari dismessi sui quali si cammina a piedi nudi nel silenzio di un cielo plumbeo. Angoscia della solitudine, della fine. Decadenza. Abbiamo superato l'ultima oasi, dinnanzi a noi la Frontiera. Catrame sciolto. Aria infuocata ci permea i polmoni. Un limbo dove i pochi rimasti raschiano legno e metallo, ossessionati da quegli unici suoni, quasi come se potessero districare l'uomo da quel taciturno incedere nella desolazione. Discariche, mosche su carne consumata, respiri interrotti e nient'altro...
I Bancale non sono un ascolto facile. Mettono radici nella tua mente, pesanti e pragmatici nello srotolare fiumi di parole a farti balenare in mente paesaggi desolati di mondi lontani e vicini allo stesso tempo. Sempre a metà tra due estremi. Nessun paradiso, nessun inferno, tutt'al più un purgatorio, una dimensione di mezzo nella quale si sprofonda come fossili nel terreno. Vengono da Bergamo ed esordiscono con questo loro primo album dopo un Ep, uscito due anni fa. “Frontiera” è un concept inteso a descrivere incubi di mezzo, di paure tangibili come quelle di un abbandono metropolitano esistenziale. Su quest'album la firma, in studio di registrazione, in “Randagio” e “Suonatore del Cielo”, di Xabier Iriondo che sa bene quel che fa. Musica che pesca dal blues, dal noise, dal post rock. Percussioni (Fabrizio Colombi) decorate con lamiere, suonate come campane appese ad un campanile in disuso. Una chitarra spettrale, graffiante, stanca, (Alessandro Adelio Rossi) emerge dal silenzio ad introdurre un parlato smarrito (Luca Vittorio Barachetti) tutt'altro che orecchiabile. Il linguaggio, estrapolato dalle sue linee ordinarie in visione di un urgenza creativa espressionistica, è piegato da Barachetti nell' affastellare immagini una sopra l'altra in pile disordinate. Musica stilizzata come l'ominide che si staglia in copertina sullo sfondo bianco. Momenti rumorosi motivati da rabbia ed esasperazione per la caducità e l'infinita debolezza della carne.
“E' il mio corpo una chiesa che guardo da fuori e guardandola immagino travi e muri portanti cadere sul peso svuotante di tarme e ragni...” (Corpo, giorno che scorna)
Attraverso discorsi didascalici, quasi allegorici, l'ermetismo sonoro e lirico, riesce sempre a districarsi dall'essere fine a sé stesso. Dal blues criptico di “Calolzio” (“E' la prima pietra, si la prima pietra. E su questa pietra edificherai la tua resa.”) si passa alla title track, a questa “Frontiera” che descrive appieno un paesaggio morente, nello straziante incedere di un arpeggio ossessivo, poi una scarica convulsa che quando finisce sei già ipnotizzato e trascinato in un percorso sonnambolico ben preciso. In “Cavalli” il dialogo si sdoppia nella lettura sovrapposta dello stesso Pier Paolo Pasolini, della poesia “La Terra e il Lavoro” amalgamandosi alle escoriazioni rumoriste della chitarra. Tra Bachi da Pietra e la concezione artistico-musicale dei Massimo Volume, si inseriscono i Bancale, legnosi a sostenere l'angoscia di un carico disintegrante privo di speranza. Alla fine del viaggio nessuna terra promessa. La Frontiera non è altro che realizzazione della perdizione, una suonata sotto un cielo comune a tutte le creature “quanto è bella la donna che ti lasciò, suonatore Cielo ? Quanto fu pazza se ti lasciò suonare ? (Suonatore Cielo)
...e in fondo all'orizzonte infine la destinazione ultima. Un vuoto grande come il cielo. La Frontiera.
"Se vorrai, sarò accanto alla strada"
Label: Ribéss / Fumaio / Palustre
Voto:◆◆◆◆◇
venerdì 15 aprile 2011
Ka Mate Ka Ora - Entertainment in Slow Motion (Recensione)
mercoledì 13 aprile 2011
About Wayne - Rushism (Recensione)
Eccomi a recensire questa band a me sconosciuta. Leggo qualche informazione su di loro: romani, in 5, con un EP alle spalle, finalisti tra gli emergenti dell'Heineken Jammin Festival… Un po' di gavetta l'hanno fatta.
L'album è composto da 10 brani per 41minuti.
Parte il primo pezzo, dai suoni già sentiti, certo, però su album che in America hanno raggiunto i primi posti in classifica quindi già apprezzo il buon lavoro fatto dai romani. Il brano a tratti mi ricorda i Fall Out Boy, un po' nella voce, un po' nella ritmica, una canzone pop-rock molto orecchiabile e che fa il suo lavoro. Il secondo pezzo passa a toni un po' più scuri, sempre con sonorità pop-rock che si rifanno ai gruppi californiani fine anni '90 e primi 2000. Scorrono poi "Caries" e "Pretty", due pezzi di forte impatto, chitarre piene, una batteria impeccabile sostenuta da un grosso basso e infine una bella voce a mescolare il tutto. A seguire un altro brano dai toni (più) cupi, "V", dove la voce fa da padrona nell'apertura per poi esplodere in un potente ritornello. A seguire vi è poi una cover dei Beatles, "Eleanor Rigby" e qui ci sarebbe un lungo discorso da fare per la scelta un po' azzardata ma che io personalmente approvo vedendola come tributo a una della band più grandi di sempre, un po' come se questi About Wayne ci invitassero a non perdere mai di vista i pilastri della musica pop. Ci portano poi verso la conclusione dell'album "Glance of Others", altra canzone dai toni più tranquilli ma non per questo meno convincenti, e "Bugs" brano a tratti cupo e nervoso. Si passa poi alla penultima canzone, "High", la mia preferita, dove la voce è sorretta da un arpeggio di chitarra e un giro ossessivo di basso che poi sfocia in un ritornello potente e convinto. Si conclude poi con "Interpretation of a Nightmare" dal quale titolo si potranno dedurre le atmosfere richiamate dalla band romana. l'ultimo minuto di disco presenta una ghost track dai toni simpatici ma non per forza necessaria, probabilmente uno sfogo della band che starà all'ascoltatore attento scoprire.
Che dire dunque? Questo "Rushism" è di certo un buon prodotto, suonato molto bene, che richiamerà certo l'attenzione di molti adolescenti ma non solo. Un ascolto non troppo impegnativo, a tratti divertente, che fa muovere e paragonabile a molti lavori provenienti dalla West Coast!
Bravi AboutWayne!
Label: NerdSound Records
Voto: ◆◆◆◇◇
lunedì 11 aprile 2011
Foo Fighters - Wasting Light (Recensione)
Ammetto di essermi preso il mio tempo per iniziare a scrivere questa recensione, cercando di metabolizzare al meglio quest' album, di ascoltarlo a lungo, sicuramente 'viziato' e 'portato' a comportarmi in questo modo dal grande rispetto che un personaggio come Dave Grohl, a prescindere dal fatto di essere fan o meno del suo lavoro, merita. Una figura sicuramente degna di nota sia per la sua storia (il battere pelli per i Nirvana) che per il suo ruolo di figura chiave della scena rock-mainstream attuale, in cui riesce sempre con sapienza a distinguersi e a catturare il centro dell'attenzione (con i suoi Foo così come con le stupende collaborazioni che vanno dai QOTSA ai Prodigy) senza mai perdere la dignità. Bene questo 'Wasting Light' era sicuramente uno degli album più attesi dell'anno, sostenuto da una grande campagna mediatica incentrata sopratutto sulle presenza di Butch Vig al 'mixer', di Novoselic al basso (anche se in un semplice pezzo 'I have should have know'), ma soprattutto sulla scelta di registrare tutto in analogico, senza l'utilizzo di computer ecc nel garage del buon Dave. Graditissimo anche se meno osannato è il ritorno del grande Pat Smear, ma qui mi lascio deviare dal mio amore per i Germs più che da un oggettivo salto di qualità. Beh i Foo Fighters come mi aspettavo si sono confermati sui loro livelli, dando alle stampe un lavoro veramente ben fatto, molto più crudo ed essenziale e soprattutto più 'pesante' degli ultimi, lasciando veramente poco spazio a momenti 'più leggeri', alle ballads così come a pezzi più easy-listening, che invece avevano contraddistinto i loro ultimi lavori. Ecco uno dei problemi potrebbe essere proprio questo. 'Wasting Light' rischia di essere un ascolto 'pesante' e troppo 'omogeneo', perfetto, e di sicura grande resa e impatto dal vivo, ma alla lunga un po' stancante e ripetitivo se ascoltato in cameretta. Sicuramente tutte le tracce sono di buonissima fattura, e la mano di chi ha forgiato il Nevermind-sound si sente, ma rispetto ad un tempo mancano i pezzi di 'un altro livello'. Mancano le chicche di pop-rock, se così le vogliamo definire, mancano i pezzi da stadio, i sing-along, mancano i capolavori assoluti, come una Everlong ad esempio. Questa voglia di dare alle stampe una lavoro duro e crudo ha fatto perdere, secondo il sottoscritto, la possibilità a Grohl di concentrarsi su ciò che gli riesce meglio: pezzi rock-mainstream, commerciali, ma allo stesso tempo di impatto e soprattuto, bellissimi. In sintesi se quello che cercate sono spruzzate di Salvador Dalì miste ad atmosfera e sentimento, con rimandi all'arte concettuale, non sprecate il vostro tempo neanche a dare un ascoltata allo streaming gratuito, ma questo sicuramente lo sapevate già, se invece quello che volete è un onesto album di rock diretto e spensierato, Wasting Light vi accompagnerà per 47 minuti senza alcun problema.. ma non chiedetegli nulla di più.
P.s Togliere mezzo voto se non si è fan dei Foo Fighters o delle produzioni 'Grohliane'
Label: RCA Records
Voto: ◆◆◆◇◇
Cornershop - Cornershop and the Double 'O' Groove Of (Recensione)
Label: Ample Play
Voto: ◆◆◆◆◇
domenica 10 aprile 2011
Cesare Basile - Sette Pietre per Tenere il Diavolo a Bada (Recensione)
giovedì 7 aprile 2011
Juda - Malelieve (Recensione)
Erland And The Carnival - Nightingale (Recensione)
L'album apre con “So Tired in the Morning” il miglior brano tra le quattordici (troppe) tracce presenti nell'album; un brano da subito coinvolgente ed ipnotico, da subito si nota la supremazia dell'organo, protagonista indiscusso dell'album. Un'ulteriore dimostrazione della mutazione che il nostro “carnevale” sembra aver intrapreso verso il lato oscuro è “Emmeline” qui se chiudiamo gli occhi possiamo distinguere un castello alla Bram Stoker, tetro, oscuro ma per qualche misteriosa ragione estremamente affascinante. Ascoltate attentamente l'inizio di “IЎЇm Not Really Here” precisamente 25 secondi dall'inizio... ora ascoltate i Julie's Haircut “Satan Eats Seitan”, cambia la velocità nient'altro, ma togliendo questo piccolo “errore” il brano è interessante per certi versi, ma fin troppo ripetitivo. L'unica traccia fuori dal contesto è “East & West” un capolavoro alla Simon and Garfunkel in cui possiamo apprezzare la delicatezza canora di Erland Cooper nei minimi dettagli. Tutti moriamo, è la decima traccia che spezza gli equilibri e ci ricorda che gli Erland And The Carnival non lasciano mai spazzi vuoti, anzi pur di non farlo ne miscelano un paio assieme e ne esce fuori la misteriosa e straordinaria “We All Die”.
Per darci una ragione del fascino incontrastato che questo album ostenta, ci basti sapere che è stato registrato nella stiva di una nave approdata sulle sponde del Tamigi. Il mio modestissimo consiglio è di rivalutare o scoprire questo album e questa straordinaria fusione di artisti, Erland And The Carnival, due album all'attivo in grado di stregarmi come pochi fin dal primo ascolto.
Il mistero di come queste sonorità “antiche” possano sembrare tanto innovative quanto incantevoli non finirà mai di stupirmi e di ipnotizzarmi.
Label: Full Time Hobby
Voto: ◆ ◆ ◆ ◆◇
Rockrace - S/t (Recensione)
Label: Ideasuoni
Voto: ◆◇◇◇◇
mercoledì 6 aprile 2011
PJ Harvey - Let England Shake (Recensione)
Young The Giant - Young The Giant (Recensione)
Una sera ascoltavo su una radio britannica un concerto/intervista a PJ Harvey per l'uscita del suo nuovo e strabiliante LET ENGLAND SHAKE… tra una domanda e l'altra il presentatore dice "ascoltiamoci questo nuovo gruppo americano, YOUNG THE GIANT, che sono molto bravi!" e parte "Apartment" con una leggera chitarra a cui si aggiunge una voce decisa e convincente dai toni nostalgici e malinconici (come piacciono a me!).
Di corsa ad ascoltarlo.
12 brani per 50 minuti prodotto dal gruppo stesso assieme a Joe Chicarelli (quello che ha scoperto Tori Amos, ha prodotto alcune tracce dell'ultimo degli Strokes, ha lavorato con Elton John, U2, Beck, The Raconteurs…), Michael Brauer al mixer (Bob Dylan, Coldplay, Paul McCartney, Regina Spektor) e il tutto in presa diretta!
Parte la prima traccia, "Apartment", già familiare alle mie orecchie, suoni leggeri di due chitarre sapientemente incastrate, il tutto sorretto da un buon apparato ritmico ( e poi il batterista usa Ludwig!). Secondo pezzo è il primo singlo rilasciato, "My Body", suoni molto curati, una strofa trattenuta che esplode poi nel ritornello (My body tells me no! But I won't quit! I want more! ). A seguire è poi la dolce "I Got", ballata dai suoni eterei e sognanti. Traccia numero 4 è "Cough Syrup", canzone già presente su un EP (Shake My Hand, 2008) precedentemente pubblicato col nome The Jakes, e anche qui si può benissimo dire di trovarsi di fronte ad un altra canzone-hit che si presta ad essere rilasciata come singolo, dai richiami vagamente Coldplay nella parte strumentale. E poi ancora "God Made Man", "12 Fingers", "Strings", "Your Side", "Garandas" . Tutti pezzi a mio avviso sapientemente arrangiati e studiati, ognuno di questi potrebbe diventare un singolo, canzoni di amore, passione, odio e dubbi davanti alla vita. E poi ancora "St. Walker", una canzone dai toni cupi e da un apparato ritmico insolito e che richiama l'attenzione, un misto di disco anni '70 con vaghi richiami Brit anni '80 alla Smiths. Si va poi verso il finale con "Islands" in cui testo, ambientazioni e sentimenti si mischiano: passione, acqua e amore diventano un tutt'uno senza più distinzioni (provare per credere!). Ed eccoci giunti all'ultima traccia, "Guns Out", una delle migliori, batteria ciclica, strumenti che piano piano entrano nelle nostre orecchie, parte la voce: "You'll drive in my car, Just tell me we are going somewhere Where the stars meet the sky And all these pepople with small dreams are looking up at the big screen.. It's so wonderful!".
Giunti qua ci vuole una piccola parentesi sui testi che, secondo il cantante Gadhia, hanno un tema conduttore, quello del "sentimento di isolamento e della surreale felicità verso un'amante". Sempre Gadhia dice che la maggior parte dell'album, come si può notare già dal primo ascolto, trae ispirazione "dal mare e dalla spiaggia, un disco estivo con un suono alla Orange County".
Che dire? Questo primo lavoro di questa giovane band americana è un insieme di grandi pezzi lavorati alla perfezione il tutto condito da una voce calda e sognante, di sicuro uno dei migliori prodotti di quest'anno, quindi dategli almeno un ascolto!
Per chi fosse interessato, dal 2 maggio sarà disponibile in Europa in formato CD, Vinile e Digital Download da Itunes con 3 tracce in più.
Se volete dare subito un ascolto l'album è in streaming sulla loro pagina facebook.
Altra interessante proposta di questo gruppo è l'Open Session che si può trovare su youtube, una performance live all'aperto, sulla spiaggia, in montagna!
Label: Roadrunner
Voto:◆◆◆◆◆